La clausola in questione è una tipica clausola contenuta nello statuto sociale (o nei patti para-sociali) che viene prevista per risolvere determinate situazioni di stallo, nell'ambito della vita sociale della società, specie nell'eventualità di quote paritetiche.
Essa tipicamente prevede la facoltà di un socio – ove si verifichino determinati eventi - di attivare un meccanismo in forza del quale lo stesso socio ha diritto di determinare il prezzo per il trasferimento delle partecipazioni, attribuendo così all'altro socio l'opzione tra: (i) vendere la propria partecipazione al socio che ha determinato il prezzo, oppure (ii) acquistare la partecipazione di quest'ultimo al medesimo prezzo.
Tale clausola ormai è pacificamente ammessa nel nostro ordinamento (cfr. Consiglio Notarile di Milano, massima n.181 e, recentemente, Consiglio Notarile di Firenze Pistoia e Prato, massima n.73/2020).
La questione più delicata è riservata alla necessità (o meno) di prevedere la predeterminazione del prezzo della partecipazione poiché il nostro ordinamento prevede specifici criteri legali da seguire, ad esempio, in caso di recesso legale (artt. 2437-ter e 2473 c.c.), ma anche in caso di riscatto convenzionale (art. 2437-sexies c.c.) o di esclusione del socio (art. 2473-bis c.c.).
La clausola potrebbe, quindi, subire censure, avuto riguardo all'arbitrarietà nella determinazione del prezzo o alla mancata disclosure dei criteri per giungere a detto prezzo. Tuttavia la clausola in questione non richiede necessariamente l'espresso richiamo di un criterio di determinazione del valore delle partecipazioni.
Infatti, a ben vedere, nelle clausole di Russian Roulette, alla parte oblata è attribuita la facoltà di scegliere se vendere o comprare la partecipazione, non dovendo subire passivamente una determinazione iniqua del prezzo della controparte. D'altra parte, la stessa parte oblata, nella sua qualità di socio della società, è in grado di valutare la congruità del prezzo determinato dall'altro socio ed operare la sua scelta cum grano salis.
Tale scelta non si rinviene, invece, nelle c.d. clausole di drag-along, nelle quali il socio uscente subisce l'esercizio del diritto potestativo di riscatto dell'altro contraente, vedendosi obbligato ad alienare la propria partecipazione al prezzo determinato, secondo i parametri contenuti nella clausola. Pertanto, solo in quest'ultima tipologia di patti, vi è la necessità di rispettare il principio di equa valorizzazione della partecipazione, proprio a garanzia del socio uscente.
Recentemente la Corte d'Appello di Roma (sentenza del 3 febbraio 2020, n.782, in Ilsocietario.it 28 aprile 2020), con pregevole motivazione, ha confermato la posizione già espressa dal Tribunale di Roma (con sentenza del 19 ottobre 2017, n.19708), ribadendo la validità della clausola di Russian Roulette anche ove la stessa non abbia previsto meccanismi di equa valorizzazione della partecipazione.
La Corte ha altresì rilevato l'assenza di un contrasto di detta clausola, con il divieto di patto leonino di cui all'art. 2265 c.c. in quanto la clausola di Russian Roulette è “... inidonea sia strutturalmente che funzionalmente ad integrare un divieto di patto leonino ex 2265 c.c. Infatti, fino al determinarsi della situazione di “stallo”, come definita ex ante dagli aderenti al patto e la conseguente attivazione del meccanismo contenuto nella clausola, ciascun socio è esposto alle variazioni di valore derivanti dalla gestione.”.
Detta motivazione è ineccepibile in quanto la violazione dell'art. 2265 c.c. (che determinerebbe la nullità della clausola) si ravvisa solo nell'ipotesi di una esclusione “totale e costante” del socio alla partecipazione al rischio d'impresa. 1
Ritengo che detta sentenza, unitamente alle massime notarili sopra esposte, possa contribuire a confermare la "stabilità" di detta clausola la cui redazione, tuttavia, necessita di massima attenzione, dovendo comunque tenere a mente i principi di “compatibilità” previsti nel nostro sistema.
© Avv. Luca Campana | SLC - Studio Legale Campana
1 Sul tema, la Suprema Corte, con la nota sentenza del 4 luglio 2018, n. 17498, ha affermato la non contrarietà al divieto ex 2265 c.c. per le opzioni put a prezzo definito, affermando che solo l'esclusione assoluta e costante dagli utili o dalle perdite è incompatibile con la causa societatis, riverberandosi sullo status di socio.