Partiamo dal dato normativo: l’art. 34, comma 1, del D.Lgs. n.5 del 2003 prevede, come è noto, che gli atti costitutivi delle società possono, mediante clausole compromissorie, prevedere la devoluzione ad arbitri di alcune ovvero di tutte le controversie insorgenti tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale.
Spesso, quindi, negli statuti societari è contenuta una clausola compromissoria del seguente tenore:
«Tutte le controversie che dovessero insorgere tra i soci, o tra i soci e la società, aventi ad oggetto diritti disponibili relativi al rapporto sociale, nonché tutte le controversie promosse da amministratori, sindaci e liquidatori ovvero nei loro confronti, ivi comprese quelle relative alla validità delle delibere assembleari, ad eccezione di quelle nelle quali la legge prevede l'intervento obbligatorio del pubblico ministero, ovvero aventi ad oggetto la qualità di socio, saranno devolute ad arbitrato secondo …»
Nella tecnica redazionale, la clausola prevede, normalmente, la disciplina degli elementi essenziali dell'arbitrato, sia esso “comune” ovvero amministrato, il numero degli arbitri, la natura dell'arbitrato (rituale o irrituale), il luogo dell'arbitrato et cetera, con l'unica avvertenza che il secondo comma dell'art. 34 impone, a pena di nullità, che la scelta degli arbitri debba essere effettuata da un soggetto terzo (cfr. ex multis Cass. Civ. n.22008/2015, n.15892/2011 e n.17287/2012).
Sotto altro aspetto, rammento – in modo del tutto sintetico e schematico - che nelle società di persone la morte del socio non determina il subingresso automatico degli eredi in qualità di soci, avendo solo il diritto di ottenere la liquidazione della quota (cfr. artt. 2284 e 2289 c.c.).
Nelle società di capitali, per converso, la partecipazione sociale si trasferisce agli eredi (cfr. artt. 2355-bis e 2469 c.c.).
Tali principi possono, in varia misura, essere derogati o modificati in forza di pattuizioni sociali (atto costituto e statuto sociale), sia pure con determinati limiti dettati dal divieto dei patti successori dispositivi (cfr. art. 458 c.c.).
Nella prassi societaria, quindi, sono assai diffuse le "clausole di consolidazione" (talvolta molto sofisticate) mediante le quali i soci superstiti prevedono l'accrescimento delle proprie quote e la liquidazione della quota del socio deceduto in favore degli eredi.
La funzione tipica di dette clausole è quella di evitare l'ingresso, nella compagine sociale, degli eredi (che spesso hanno interessi in conflitto con gli altri soci superstiti) oltre quella di mantenere la stabilità degli assetti societari.
Pertanto, in virtù di dette clausole, gli eredi, aventi causa dal socio deceduto, sono titolari esclusivamente di un diritto alla liquidazione della quota e non acquistano, per effetto della successione, la posizione di quest’ultimo nell'ambito della società, rivestendo la qualifica di terzi estranei alla società (cfr. ex multis Cass. Civ. n. 12125/2006).
Veniamo al punto centrale del tema trattato.
Né l'articolo 34 del D.Lgs n.5/2003 né la clausola compromissoria (che ho portato quale esempio) fanno riferimento agli eredi del socio: la clausola compromissoria è opponibile agli eredi ? In altri termini, in caso di controversia, gli eredi dovranno adire il Tribunale ordinario o deferire la causa in arbitrato ?
La questione non è di poco conto perché l'evento morte del socio genera spesso contenziosi tra gli eredi del socio e la società, sopratutto avuto riguardo alla quantificazione della liquidazione della quota.
È quindi determinante, ai fini sostanziali e (sopratutto) processuali, capire se la clausola compromissoria operi nei loro confronti.
In termini generali si può affermare che nei “... diritti disponibili relativi al rapporto sociale ...” non rientrano unicamente le controversie che abbiano direttamente ad oggetto il rapporto sociale, ma anche quelle in via indiretta e mediata che sottendono ad un diritto sostanziale che trova la propria fonte nello stesso rapporto sociale. D'altra parte, la morte del socio determina la successione universale in capo agli eredi che subiscono, pertanto, le vicende societarie.
In tal senso si è espressa recentemente la Corte di Cassazione, Sezione I, con la sentenza n.16556 del 31 luglio 2020.
La Suprema Corte ha affermato la compromettibilità in arbitri in ragione della clausola compromissoria contenuta nello statuto sociale. Essa devolveva in arbitrato "... qualsiasi controversia tra i soci oppure tra alcuni di essi e/o tra loro eredi e la società circa l'interpretazione e l'esecuzione dello statuto e delle deliberazioni assunte ai sensi dello stesso".
La Corte ha correttamente apprezzamento il dato testuale della clausola compromissoria, non ravvisando ostacoli di sorta all'operatività della clausola anche nei confronti degli eredi del socio, ai fini della liquidazione della quota.
Infatti la Corte ha affermato di non condividere la tesi che fa leva sul (mancato) dato testuale dell'art.34, comma 1, del D.Lgs n.5/2003 per dedurre l'inapplicabilità nelle controversie tra la società o i soci e gli eredi, atteso che “... le suddette controversie sono implicitamente incluse in quelle compromettibili per legge, in via intrinsecamente consequenziale a quelle "tra i soci ovvero tra i soci e la società che abbiano ad oggetto diritti disponibili ...".
In altra fattispecie ove lo statuto sociale conteneva una clausola generica senza riferimento agli eredi del socio, si è espresso il Tribunale di Milano con la sentenza del 30 aprile 2018, affermando l'operatività di tale clausola.
Il Tribunale di Milano ha richiamato il principio secondo il quale la clausola compromissoria non è un patto accessorio del contratto nel quale è inserita, ma costituisce un negozio dotato di propria individualità ed autonomia, nettamente distinto dal contratto cui aderisce ed ha affermato che, secondo le regole generali di trasferimento delle posizioni giuridiche soggettive, il successore a titolo universale, subentra in tutti i rapporti giuridici sopravvissuti al venir meno dell’originario titolare.
L'erede, quindi, prende automaticamente il posto del suo dante causa nel rapporto posto in essere con la stipulazione del negozio compromissorio, anche ove non subentri nel rapporto giuridico controverso compromesso in arbitri, attesa l'autonomia della clausola compromissoria.
Il Tribunale conclude nell'affermare che appare irrilevante, ai fini della decisione, la circostanza che l'erede non abbia acquisito la qualità di socio della società, essendo subentrato iure ereditario in tutti i rapporti giuridici originariamente facenti capo al socio defunto, ivi inclusa la convenzione di arbitrato.
Mi pare che la motivazione assunta dal Tribunale sia limpida e coerente con l'intero sistema processuale societario.
Infine, conviene dare conto di altro precedente, talvolta utilizzato a sproposito per negare l'operatività della clausola compromissoria: si tratta dell'ordinanza della Corte di Cassazione, Sezione VI, dell'11 settembre 2017, n.21036.
In essa, a ben vedere, la Corte si è pronunciata su una fattispecie che aveva presupposti completamente diversi: si trattava di un recesso operato da un socio di una società di persone che, successivamente, era stata trasformata in società di capitali e il cui statuto prevedeva la clausola compromissoria.
In tal caso, la Corte ha richiamato il consolidato orientamento secondo il quale il recesso, atto unilaterale recettizio, una volta pervenuto alla società, produce immediatamente i suoi effetti: il rapporto sociale si scioglie hinc et inde limitatamente alla posizione del recedente, che perde la qualifica di socio e diviene titolare di un diritto di credito alla liquidazione della quota.
Tale recesso rende inopponibili al recedente tutte le successive vicende sociali, ivi inclusi i mutamenti che abbiano ad oggetto il suo assetto organizzativo in quanto il socio receduto non è più parte del rapporto societario e non operano, nei suoi confronti, le nuove clausole statutarie, compresa la clausola compromissoria.
In tale caso, la controversia non afferisce più al rapporto sociale e non ricade nell'ambito della competenza arbitrale.
In conclusione, al fine di evitare possibili controversie tra i soci superstiti e gli eredi del socio defunto, la clausola compromissoria, contenuta nello statuto sociale, riveste la massima importanza. Essa deve essere redatta in modo chiaro e coerente con le fonti normative e secondo i dettami degli orientamenti notarili e giurisprudenziali.
© Avv. Luca Campana | SLC – Studio Legale Campana