Sul tema delle compravendite di immobili pervenuti per donazione (o successione testamentaria) vi sono diverse criticità che impongono cautele e la stesura di particolari clausole contrattuali volte a minimizzare i rischi connessi ai trasferimenti immobiliari sia in capo al venditore sia (e soprattutto) in capo all'acquirente.
Per brevità e sintesi tratterò solo delle donazioni (e non delle disposizioni testamentarie che presentano tratti comuni pur con qualche peculiarità).
Come è noto la legge riserva al coniuge, ai figli legittimi e naturali e agli ascendenti legittimi (i c.d. legittimari) una parte determinata del patrimonio del de Cuius (la c.d. quota di legittima).
L'individuazione e la quantificazione della quota di legittima costituisce l’operazione necessaria mediante cui la norma civilistica (art. 556 c.c.) tutela la posizione del legittimario.
Detta tutela non inerisce solo all’asse ereditario, e cioè quei beni nella titolarità del de Cuius all’apertura della successione (il c.d. relictum), ma altresì i beni che egli ha donato in vita (il c.d. donatum).
Capita, sovente, nella prassi che la madre o il padre donino in vita ad uno dei propri figli un immobile senza – ahimè – cogliere pienamente le conseguenze giuridiche sulla futura circolazione dell'immobile o le implicazioni che possono scaturire al momento della successione.
Infatti all'apertura della successione, opera il meccanismo di riunione della c.d. “massa fittizia” e cioè la somma aritmetica (sulla carta) del relictum più il donatum in vita, sulla cui base avviene il calcolo della quota disponibile e della quota di legittima e cioè la parte del patrimonio ereditario necessariamente riservata ai legittimari.
I legittimari sono, infatti, tutelati ex artt. 553-564 c.c. ove la propria quota legittima sia lesa, in tutto o in parte, da disposizioni testamentarie o da donazioni in vita, riservando loro alcune azioni - connesse e consequenziali - volte a reintegrare detta quota.
Tali azioni sono, rispettivamente, (i) l'azione di riduzione e (ii) l'azione di restituzione.
i) La prima è una azione personale che rende inefficaci le donazioni compiute dal de Cuius in pregiudizio delle ragioni del legittimario;
ii) la seconda - che da luogo (come vedremo) a rischi sulla circolazione degli immobili - prevede che, ove il legittimario leso sia vittorioso nell’azione di riduzione, lo stesso possa esperire l'azione di restituzione nei confronti del legittimario-donatario.
Qualora l'immobile non sia più nel patrimonio del legittimario-donatario e il patrimonio di quest'ultimo sia altresì incapiente, il legittimario leso può coltivare l'azione di restituzione nei confronti dell’eventuale acquirente del bene immobile (avente causa del donatario) e pretenderne la restituzione.
L’azione di riduzione può essere esercitata solo dopo la morte del de Cuius ma i futuri legittimari non possono rinunciare a tale diritto sino a che il donante è in vita né con dichiarazione espressa, né prestando il proprio assenso alla donazione (art. 557 c.c.); pertanto ogni clausola o scrittura volta a rinunziare a tali diritti (durante la vita del donante) è colpita da nullità assoluta.
L’azione di riduzione è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale che decorre - secondo la giurisprudenza consolidata - dalla data di apertura della successione e non dalla donazione.
Sino a che il donante è in vita i legittimari non possono rinunciare ai loro diritti (quali - come accennato - la rinuncia ad agire in riduzione) così che la circolazione del bene resta in qualche modo “compromessa” poiché, anche dopo la morte del donante, l'azione si prescrive in 10 anni dalla successione, lasciando nell'incertezza gli eventuali aventi causa del donatario che medio tempore abbiano acquistato l'immobile circa l'eventualità di subire possibili (anzi probabili) azioni.
Ed infatti, alla vittoriosa azione di riduzione, consegue l’azione di restituzione la quale consente proprio al legittimario leso di riottenere l'immobile (o pretendere una indennità come vedremo infra) da parte dei soggetti che, nel frattempo, abbiano acquistato dal donatario ove quest'ultimo, preventivamente escusso (n.d.r. è condizione di procedibilità), sia incapiente rispetto alla quota lesa.
L'azione di restituzione può essere esperita dal legittimario leso (o escluso) entro 20 anni dalla trascrizione della donazione (art. 563 c.c. così come modificato dalla legge n.80 del 14 maggio 2005).
Il coniuge e i parenti in linea retta del donante possono sospendere il termine ventennale previsto (ex art. 563, 4 comma, c.c.) mediante un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione, notificandolo al legittimario-donatario e ai suoi aventi causa e trascrivendolo nei pubblici registri.
Nella tecnica redazionale degli atti di donazione è invalsa la prassi di far intervenire i futuri legittimari (non donatari) alla stipula per raccogliere la loro rinuncia irrevocabile al diritto di opposizione ex art. 563, comma 4, c.c.
Detta rinuncia non mette al riparo i futuri acquirenti dalle azioni dei legittimari lesi poiché la rinuncia al diritto di opposizione non consente in nessun caso una rinuncia all’azione di riduzione e/o restituzione e ogni pattuizione volta a rinunciare alle citate azioni è colpita da nullità assoluta per violazione dell'art. 557, comma 2, c.c.
Ebbene. L'intervento dei potenziali legittimari all'atto di donazione con la loro espressa rinuncia al diritto di opposizione sopra citato talvolta può ingenerare una falsa aspettativa dei futuri acquirenti dell'immobile (aventi causa del donatario) circa il fatto che l'immobile sia al riparo da azioni.
Non è così ed un esempio chiarirà i concetti sopra espressi:
Successivamente l’escussione del patrimonio del legittimario-donatario (condizione espressa di procedibilità per la successiva azione di restituzione) non è sufficiente a soddisfare il legittimario leso neppure per equivalente (cioè la somma di denaro pari al valore del bene determinato con riferimento alla data dell’apertura della successione).
Poiché non sono trascorsi 20 anni dalla trascrizione della donazione (n.d.r. trascritta nel 2000), il legittimario vittorioso nell’azione di riduzione - rimasto insoddisfatto - può agire per ottenere la restituzione dell'immobile nei confronti del terzo acquirente il quale potrà:
a) rendere l'immobile;
b) ovvero evitare la restituzione del bene, pagando l'equivalente in denaro (ex art. 563, comma 3, c.c.) e cioè una sorta di riscatto ex lege pari alla somma necessaria a reintegrare la quota di legittima del legittimario leso;
c) per poi agire in regresso nei confronti del suo dante causa (il legittimario-donatario).
Sul punto c) si deve evidenziare che vi è una ragionevole probabilità che il terzo acquirente non possa soddisfare il proprio credito di regresso poiché una delle condizioni dell'azione di restituzione è proprio l'incapienza del donatario rispetto alla quota di legittima lesa.
L'esempio illustrato (non così raro nella vita giudiziale) è abbastanza eloquente: gli immobili pervenuti per donazione presentano innegabili criticità nella loro circolazione.
Il donatario che volesse alienare tale bene avrebbe, quindi, estrema difficoltà a reperire sul mercato un acquirente disposto a correre il rischio di una possibile azione di restituzione per un arco temporale così lungo (a tacere di evidenti “chiusure” nel sistema bancario nel finanziare simili acquisti).
Non solo. L'azione di restituzione (data la sua natura reale) colpisce colori i quali, nell’eventuale serie dei trasferimenti dell’immobile, sono proprietari al momento dell’esercizio dell’azione di restituzione così che anche l'eventuale ulteriore vendita dal terzo (avente causa del donatario) ad un altro soggetto presenterebbe i medesimi problemi, con un forte disincentivo alla circolazione del bene.
Per ovviare a tali criticità, la prassi contrattuale ha cercato di utilizzare alcuni istituti e alcune clausole contrattuali quali, ad esempio, la fideiussione dei legittimari diversi dal donatario, la fideiussione del donante o l'attribuzione diritti reali minori in favore degli altri legittimari con l'assunzione di una garanzia in via solidale a favore del terzo nell'atto di compravendita.
Tali istituti (con la redazione di clausole anche piuttosto arzigogolate) incontrano seri limiti poiché essi sono in contrasto con le disposizioni degli artt. 557 e 458 c.c. e dell'art. 1344 c.c.
[n.d.r. paragrafo aggiunto a seguito di proficuo confronto con diversi Notai che ringrazio pubblicamente] Durante la vita del donante è possibile stipulare un atto di risoluzione della donazione "per mutuo dissenso", atto che è invalso nella prassi notarile (più dibattuta è la rinunzia all'azione di restituzione nei confronti dei terzi, stante il divieto dei patti successori rinunziativi) e che consente di porre nel nulla la donazione e risolvere gli effetti negativi sopra citati; esso - talvolta - può creare ulteriori criticità nei rapporti tra donatario e suoi aventi causa ovvero tra donatario e i propri legittimari.
Altro "rimedio" possibile e, a mio avviso, efficace è l'intervento di un terzo (nella specie una banca mediante il rilascio di una fideiussione bancaria ovvero una compagnia assicuratrice mediante la stipulazione di una apposita polizza assicurativa) che “copra il rischio” in capo all'acquirente di subire – nei venti anni dalla trascrizione della donazione - l'azione di restituzione ex art. 563 c.c.
Si tratta, rispettivamente, di una garanzia sottesa all'inadempimento dell'obbligazione ex art. 1483 (garanzia per evizione) ovvero un risarcimento/indennizzo legato “all'evento azione di restituzione” il cui costo/premio è parametrato al corrispettivo del riscatto dovuto ex lege al legittimario leso ai sensi per gli effetti dell'art. 563, comma 3, c.c.
Tale soluzione è doppiamente efficace poiché, da un lato, minimizza i rischi dell'acquirente che evita l'inutile azione di rivalsa nei confronti del legittimario-donatario e consente, per converso, una più agevole circolazione dell'immobile da parte di quest'ultimo, il tutto a fronte di costi modesti se posti in relazione al valore dell'immobile.
Tali forme di garanzie accessorie e collaterali debbono comunque essere previsti in idonee (e ben calibrate) clausole contrattuali all'interno del contratto di compravendita ed accompagnate, eventualmente, da scritture private separate aventi ad oggetto la rinuncia all'opposizione alla donazione ex art. 563 c.c.
Per brevità e sintesi tratterò solo delle donazioni (e non delle disposizioni testamentarie che presentano tratti comuni pur con qualche peculiarità).
Come è noto la legge riserva al coniuge, ai figli legittimi e naturali e agli ascendenti legittimi (i c.d. legittimari) una parte determinata del patrimonio del de Cuius (la c.d. quota di legittima).
L'individuazione e la quantificazione della quota di legittima costituisce l’operazione necessaria mediante cui la norma civilistica (art. 556 c.c.) tutela la posizione del legittimario.
Detta tutela non inerisce solo all’asse ereditario, e cioè quei beni nella titolarità del de Cuius all’apertura della successione (il c.d. relictum), ma altresì i beni che egli ha donato in vita (il c.d. donatum).
Capita, sovente, nella prassi che la madre o il padre donino in vita ad uno dei propri figli un immobile senza – ahimè – cogliere pienamente le conseguenze giuridiche sulla futura circolazione dell'immobile o le implicazioni che possono scaturire al momento della successione.
Infatti all'apertura della successione, opera il meccanismo di riunione della c.d. “massa fittizia” e cioè la somma aritmetica (sulla carta) del relictum più il donatum in vita, sulla cui base avviene il calcolo della quota disponibile e della quota di legittima e cioè la parte del patrimonio ereditario necessariamente riservata ai legittimari.
I legittimari sono, infatti, tutelati ex artt. 553-564 c.c. ove la propria quota legittima sia lesa, in tutto o in parte, da disposizioni testamentarie o da donazioni in vita, riservando loro alcune azioni - connesse e consequenziali - volte a reintegrare detta quota.
Tali azioni sono, rispettivamente, (i) l'azione di riduzione e (ii) l'azione di restituzione.
i) La prima è una azione personale che rende inefficaci le donazioni compiute dal de Cuius in pregiudizio delle ragioni del legittimario;
ii) la seconda - che da luogo (come vedremo) a rischi sulla circolazione degli immobili - prevede che, ove il legittimario leso sia vittorioso nell’azione di riduzione, lo stesso possa esperire l'azione di restituzione nei confronti del legittimario-donatario.
Qualora l'immobile non sia più nel patrimonio del legittimario-donatario e il patrimonio di quest'ultimo sia altresì incapiente, il legittimario leso può coltivare l'azione di restituzione nei confronti dell’eventuale acquirente del bene immobile (avente causa del donatario) e pretenderne la restituzione.
L’azione di riduzione può essere esercitata solo dopo la morte del de Cuius ma i futuri legittimari non possono rinunciare a tale diritto sino a che il donante è in vita né con dichiarazione espressa, né prestando il proprio assenso alla donazione (art. 557 c.c.); pertanto ogni clausola o scrittura volta a rinunziare a tali diritti (durante la vita del donante) è colpita da nullità assoluta.
L’azione di riduzione è soggetta alla prescrizione ordinaria decennale che decorre - secondo la giurisprudenza consolidata - dalla data di apertura della successione e non dalla donazione.
Sino a che il donante è in vita i legittimari non possono rinunciare ai loro diritti (quali - come accennato - la rinuncia ad agire in riduzione) così che la circolazione del bene resta in qualche modo “compromessa” poiché, anche dopo la morte del donante, l'azione si prescrive in 10 anni dalla successione, lasciando nell'incertezza gli eventuali aventi causa del donatario che medio tempore abbiano acquistato l'immobile circa l'eventualità di subire possibili (anzi probabili) azioni.
Ed infatti, alla vittoriosa azione di riduzione, consegue l’azione di restituzione la quale consente proprio al legittimario leso di riottenere l'immobile (o pretendere una indennità come vedremo infra) da parte dei soggetti che, nel frattempo, abbiano acquistato dal donatario ove quest'ultimo, preventivamente escusso (n.d.r. è condizione di procedibilità), sia incapiente rispetto alla quota lesa.
L'azione di restituzione può essere esperita dal legittimario leso (o escluso) entro 20 anni dalla trascrizione della donazione (art. 563 c.c. così come modificato dalla legge n.80 del 14 maggio 2005).
Il coniuge e i parenti in linea retta del donante possono sospendere il termine ventennale previsto (ex art. 563, 4 comma, c.c.) mediante un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione, notificandolo al legittimario-donatario e ai suoi aventi causa e trascrivendolo nei pubblici registri.
Nella tecnica redazionale degli atti di donazione è invalsa la prassi di far intervenire i futuri legittimari (non donatari) alla stipula per raccogliere la loro rinuncia irrevocabile al diritto di opposizione ex art. 563, comma 4, c.c.
Detta rinuncia non mette al riparo i futuri acquirenti dalle azioni dei legittimari lesi poiché la rinuncia al diritto di opposizione non consente in nessun caso una rinuncia all’azione di riduzione e/o restituzione e ogni pattuizione volta a rinunciare alle citate azioni è colpita da nullità assoluta per violazione dell'art. 557, comma 2, c.c.
Ebbene. L'intervento dei potenziali legittimari all'atto di donazione con la loro espressa rinuncia al diritto di opposizione sopra citato talvolta può ingenerare una falsa aspettativa dei futuri acquirenti dell'immobile (aventi causa del donatario) circa il fatto che l'immobile sia al riparo da azioni.
Non è così ed un esempio chiarirà i concetti sopra espressi:
- nel 2000 una madre dona ad uno dei due figli l'unico immobile del proprio patrimonio (all'atto interviene anche il figlio non donatario che espressamente rinuncia all'opposizione alla donazione);
- nel 2013 il donatario vende l'immobile ad un terzo;
- nel 2014 la madre muore (n.d.r. 14 anni dopo la donazione) e si apre la successione.
Successivamente l’escussione del patrimonio del legittimario-donatario (condizione espressa di procedibilità per la successiva azione di restituzione) non è sufficiente a soddisfare il legittimario leso neppure per equivalente (cioè la somma di denaro pari al valore del bene determinato con riferimento alla data dell’apertura della successione).
Poiché non sono trascorsi 20 anni dalla trascrizione della donazione (n.d.r. trascritta nel 2000), il legittimario vittorioso nell’azione di riduzione - rimasto insoddisfatto - può agire per ottenere la restituzione dell'immobile nei confronti del terzo acquirente il quale potrà:
a) rendere l'immobile;
b) ovvero evitare la restituzione del bene, pagando l'equivalente in denaro (ex art. 563, comma 3, c.c.) e cioè una sorta di riscatto ex lege pari alla somma necessaria a reintegrare la quota di legittima del legittimario leso;
c) per poi agire in regresso nei confronti del suo dante causa (il legittimario-donatario).
Sul punto c) si deve evidenziare che vi è una ragionevole probabilità che il terzo acquirente non possa soddisfare il proprio credito di regresso poiché una delle condizioni dell'azione di restituzione è proprio l'incapienza del donatario rispetto alla quota di legittima lesa.
L'esempio illustrato (non così raro nella vita giudiziale) è abbastanza eloquente: gli immobili pervenuti per donazione presentano innegabili criticità nella loro circolazione.
Il donatario che volesse alienare tale bene avrebbe, quindi, estrema difficoltà a reperire sul mercato un acquirente disposto a correre il rischio di una possibile azione di restituzione per un arco temporale così lungo (a tacere di evidenti “chiusure” nel sistema bancario nel finanziare simili acquisti).
Non solo. L'azione di restituzione (data la sua natura reale) colpisce colori i quali, nell’eventuale serie dei trasferimenti dell’immobile, sono proprietari al momento dell’esercizio dell’azione di restituzione così che anche l'eventuale ulteriore vendita dal terzo (avente causa del donatario) ad un altro soggetto presenterebbe i medesimi problemi, con un forte disincentivo alla circolazione del bene.
Per ovviare a tali criticità, la prassi contrattuale ha cercato di utilizzare alcuni istituti e alcune clausole contrattuali quali, ad esempio, la fideiussione dei legittimari diversi dal donatario, la fideiussione del donante o l'attribuzione diritti reali minori in favore degli altri legittimari con l'assunzione di una garanzia in via solidale a favore del terzo nell'atto di compravendita.
Tali istituti (con la redazione di clausole anche piuttosto arzigogolate) incontrano seri limiti poiché essi sono in contrasto con le disposizioni degli artt. 557 e 458 c.c. e dell'art. 1344 c.c.
[n.d.r. paragrafo aggiunto a seguito di proficuo confronto con diversi Notai che ringrazio pubblicamente] Durante la vita del donante è possibile stipulare un atto di risoluzione della donazione "per mutuo dissenso", atto che è invalso nella prassi notarile (più dibattuta è la rinunzia all'azione di restituzione nei confronti dei terzi, stante il divieto dei patti successori rinunziativi) e che consente di porre nel nulla la donazione e risolvere gli effetti negativi sopra citati; esso - talvolta - può creare ulteriori criticità nei rapporti tra donatario e suoi aventi causa ovvero tra donatario e i propri legittimari.
Altro "rimedio" possibile e, a mio avviso, efficace è l'intervento di un terzo (nella specie una banca mediante il rilascio di una fideiussione bancaria ovvero una compagnia assicuratrice mediante la stipulazione di una apposita polizza assicurativa) che “copra il rischio” in capo all'acquirente di subire – nei venti anni dalla trascrizione della donazione - l'azione di restituzione ex art. 563 c.c.
Si tratta, rispettivamente, di una garanzia sottesa all'inadempimento dell'obbligazione ex art. 1483 (garanzia per evizione) ovvero un risarcimento/indennizzo legato “all'evento azione di restituzione” il cui costo/premio è parametrato al corrispettivo del riscatto dovuto ex lege al legittimario leso ai sensi per gli effetti dell'art. 563, comma 3, c.c.
Tale soluzione è doppiamente efficace poiché, da un lato, minimizza i rischi dell'acquirente che evita l'inutile azione di rivalsa nei confronti del legittimario-donatario e consente, per converso, una più agevole circolazione dell'immobile da parte di quest'ultimo, il tutto a fronte di costi modesti se posti in relazione al valore dell'immobile.
Tali forme di garanzie accessorie e collaterali debbono comunque essere previsti in idonee (e ben calibrate) clausole contrattuali all'interno del contratto di compravendita ed accompagnate, eventualmente, da scritture private separate aventi ad oggetto la rinuncia all'opposizione alla donazione ex art. 563 c.c.