Giova premettere che la Suprema Corte, con approdo nomofilattico, partito dalle note sentenze S.U. n.9140/2016 e n.24645/2016, concluso con la sentenza S.U. n.22437/2018 (si veda anche Cass. n.10447/2019) ha affermato il seguente principio:
Il contratto di assicurazione nel quale sia inserita una clausola claims made non è soggetto al controllo di meritevolezza ex art.1322, c.2, c.c. ma al controllo della «causa in concreto» cioè alla verifica della rispondenza dell’assetto contrattuale alla volontà delle parti, mediante l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge ex art.1322, c.1, c.c.
Ciò premesso, la Suprema Corte è tornata ad occuparsi della vicenda sotto l'aspetto della compatibilità della clausola in questione con il precetto di cui all'art. 2965 c.c.
Esso, come è noto, prevede la nullità di un patto con il quale si stabiliscono termini di decadenza che rendono eccessivamente difficile ad una parte del rapporto l'esercizio del diritto.
La Suprema Corte, con la sentenza n.8894/2020, aveva dichiarato la nullità della clausola claims made che poneva a carico dell’assicurato una decadenza dipendente in via esclusiva da una condotta del terzo danneggiato autonoma e non calcolabile.
Tale clausola – secondo la sopra citata sentenza - era affetta da nullità in quanto essa rendeva eccessivamente difficile l’esercizio del diritto all'indennizzo nei confronti dell’assicuratore poiché connessa ad un evento terzo sul quale l’assicurato non avrebbe alcun controllo (la denuncia da parte del danneggiato, ndr), non potendo, quindi, la natura vessatoria della pattuizione essere resa meno gravosa da una retroattività o ultrattività particolarmente estesa.
Dopo questo importante revirement giurisprudenziale, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, conferma nuovamente l'indirizzo espresso dalle Sezioni Unite, richiamando quanto statuito dalle sentenze S.U., n.9140/2016 e sez. III, n.30309/2019.
Deve escludersi che la limitazione della copertura assicurativa alle richieste di risarcimento presentate all'assicurato, per la prima volta, durante il periodo di efficacia dell'assicurazione, in relazione a fatti commessi nel medesimo lasso temporale o anche in epoca antecedente integri una decadenza convenzionale, soggetta ai limiti inderogabilmente fissati nella norma codicistica di cui all'art. 2965 c.c.
E invero l’istituto richiamato, implicando la perdita di un diritto per mancato esercizio dello stesso entro il periodo di tempo stabilito, va inequivocabilmente riferito a già esistenti situazioni soggettive attive nonché a condotte imposte, in vista del conseguimento di determinati risultati al soggetto sul quale incombe la decadenza.
Invece la condizione racchiusa nella clausola in contestazione consente o preclude l'operatività della garanzia in dipendenza dell’iniziativa di un terzo estraneo al contratto, iniziativa che peraltro incide non sulla sorte di un pieno diritto all'indennizzo, quanto piuttosto sulla nascita del diritto stesso.
Ne deriva che non vi è spazio per una verifica di compatibilità della clausola con il disposto dell’art.2965 c.c. in quanto la richiesta del danneggiato è fattore concorrente nella identificazione del rischio assicurato e, in tal senso, si viene a delineare l'appartenenza strutturale del «fenomeno claims» al modello di assicurazione della responsabilità civile di cui al primo comma dell'art. 1917 c.c.
Ne consegue – conclude la Corte - che non può essere affetta da nullità, ex art.2965 c.c., la clausola claims made che fa dipendere la decadenza dalla scelta di un terzo giacché l'atteggiarsi della richiesta del terzo, quale evento futuro, imprevisto ed imprevedibile, è del tutto coerente con la struttura propria del contratto di assicurazione contro i danni nel cui ambito è da ricondursi la polizza con clausola claims made, in cui l'operatività della copertura deve dipendere da fatto non dell'assicurato.
© Avv. Luca Campana | SLC – Studio Legale Campana