Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 6 maggio 2015, n. 9100
Il tema dell'individuazione (e il relativo criterio
di quantificazione) del danno risarcibile nelle azioni di
responsabilità promosse dal curatore fallimentare ex art 146 L.F.
(ndr cioè le azioni azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c.) nel confronti
degli amministratori delle società insolventi è stata - nel corso
degli anni - oggetto di mutevoli oscillazioni.
Recentemente la Cassazione Civile (Prima Sezione), con ordinanza
interlocutoria n.12366 del 3 giugno 2014, poneva la questione se
il danno risarcibile, nell'impossibilità
di procedere alla ricostruzione del patrimonio sociale per assoluta
mancanza delle scritture contabili, potesse essere
liquidato nella misura differenziale tra l'attivo e il passivo
fallimentare; in altri termini se il detrimento patrimoniale così
determinato dovesse essere accollato quale conseguenza diretta ed
immediata delle violazioni commesse dall'amministratore colpevole
senza operare alcun accertamento sul nesso causale tra le singole
condotte illecite accertate e il differenziale negativo poi accertato
in sede fallimentare.
L'ordinanza in questione quindi (fermi i principi di
cui all'art. 2392, 1223 e 2697 c.c. secondo i quali chi agisce ha
l'onere di fornire la prova del danno e del nesso di causalità
materiale tra il danno stesso e la condotta illecita
dell'amministratore nei doveri del suo ufficio) si interrogava sulla
legittimità (o meno) di porre a carico dell'amministratore l'intero
dissesto patrimoniale (accertato in sede endo-concorsuale) in
presenza di una irregolare tenuta delle scritture contabili,
circostanza quest'ultima idonea a fondare ex se (con
applicazione dell'articolo 2729 c.c.) la causazione dell'intero
deficit in mancanza di prova contraria (così come affermato nella
sentenza della Corte di Appello impugnata).
L'ordinanza dava atto di due orientamenti
giurisprudenziali sul punto:
a) da un lato (con le sentenze nn. 1281/77, 6493/85,
5876/11 e 7606/11) la totale mancanza di contabilità è
automaticamente idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio
sociale, giustificando una inversione dell'onere della prova del
nesso causale a carico dell'amministratore;
b) dall'altro (con le sentenze nn. 9252/97,
10488/98, 1375/00)
lo sbilancio tra l'attivo e il passivo può essere imputato
all'amministratore inadempiente in base ad un giudizio presuntivo
solo ove detti comportamenti illegittimi abbia causato il dissesto
della società o siano conseguenza immediata e diretta delle
violazioni, non potendo utilizzare detto criterio automaticamente
per la quantificazione ex se del danno stesso (salvo
utilizzare il criterio nei limiti imposti dall'art. 1226 c.c.).
Alla luce del non uniforme panorama
giurisprudenziale sul punto, la Prima Sezione della Corte di
Cassazione rimetteva la questione al Presidente per l'eventuale
assegnazione alle Sezioni Unite.
Ebbene. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite
(Presidente Dott. Rovelli, Est. Dott. Rordorf) con sentenza
n. 9100 del 6 maggio 2015 ha statuito quanto segue:
Nell’azione di
responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146, comma
secondo, legge fallim., la mancata (o irregolare) tenuta delle
scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore
convenuto, non
giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella
misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e
l’attivo liquidato in sede fallimentare,
che integra solo un parametro per una
liquidazione equitativa, ove ne sussistano le condizioni, sempre che
il ricorso a tale criterio sia, in ragione delle circostanze del caso
concreto, logicamente plausibile e, comunque, che l’attore abbia
indicato le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli
specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta
dell’amministratore.(n.d.r. enfasi aggiunta).
In particolare la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza della Corte di Appello dettando il seguente principio:
Nell'azione di
responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società
di capitali nei confronti dell'amministratore della stessa
l'individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev'essere
operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti
dell'amministratore, che l'attore ha l'onere di allegare, onde possa
essere verificata l'esistenza di un rapporto di causalità tra tali
inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento.
Nelle predette azioni la
mancanza di scritture contabili della società, pur se addebitabile
all'amministratore convenuto, di
per sé sola non giustifica che il danno da risarcire sia individuato
e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e
l'attivo accertati in ambito fallimentare,
potendo tale criterio essere utilizzato soltanto al fine della
liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché
si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le
ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti
dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell'amministratore
e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente
plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto."
(ndr enfasi aggiunta).
La sentenza in commento, dopo aver richiamato i
propri precedenti a Sezioni Unite n. 13533 del 2001 e n.15781 del
2005, si è interrogata su quali inadempimenti si potesse fondare una
pretesa risarcitoria corrispondente al deficit fallimentare.
La Corte giunge alla seguente (condivisibile)
considerazione: il mancato rinvenimento delle scritture contabili non
può assurgere a causa dell'insolvenza né allo sbilanciamento
patrimoniale poiché “... la contabilità
registra gli accadimenti economici che interessano l'attività
dell'impresa, non li determina; ed è da quegli accadimenti che
deriva il deficit patrimoniale, non certo dalla loro (mancata o
scorretta) registrazione in contabilità.”.
Inoltre – aggiunge la Corte - la circostanza della
mancanza della contabilità non vale ad integrare il nesso eziologico
tra la condotta e il danno, non potendo quindi procedersi
all'inversione dell'onere della prova a carico dell'amministratore
sulla causazione dell'intero sbilancio patrimoniale; diversamente –
si legge nella motivazione – si introdurrebbe un meccanismo
sanzionatorio attualmente non codificato nella fattispecie in
esame .
La Corte infine non esclude l'applicabilità
dell'art. 1226 c.c.:
Lo
stesso curatore potrà invocare a proprio vantaggio la disposizione
dell’art. 1226 c.c. e perciò chiedere al giudice di provvedere
alla liquidazione del danno in via equitativa. Né può escludersi
che, proprio avvalendosi di tale facoltà di liquidazione equitativa,
il giudice tenga conto in tutto o in parte dello sbilancio
patrimoniale della società, quale registrato nell’ambito della
procedura concorsuale. Ma, come condivisibilmente già osservato da
Cass. 2538/05 e 3032/05, citt., per evitare che ciò si traduca
nell’applicazione di un criterio affatto arbitrario, sarà pur
sempre necessario indicare le ragioni che non hanno permesso
l’accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli
concretamente riconducibili alla condotta del convenuto, nonché la
plausibilità logica del ricorso a detto criterio, facendo
riferimento alle circostanze del caso concreto.
L'autorevole sentenza, finalmente, detta una chiaro
principio che sarà “pietra di paragone” per la successiva
giurisprudenza di merito e legittimità.