18 maggio 2015

Responsabilità amministratore - danno risarcibile - Sezioni Unite

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, 6 maggio 2015, n. 9100  

Il tema dell'individuazione (e il relativo criterio di quantificazione) del danno risarcibile nelle azioni di responsabilità promosse dal curatore fallimentare ex art 146 L.F. (ndr cioè le azioni azioni ex artt. 2393 e 2394 c.c.) nel confronti degli amministratori delle società insolventi è stata - nel corso degli anni - oggetto di mutevoli oscillazioni.

Recentemente la Cassazione Civile (Prima Sezione), con ordinanza interlocutoria n.12366 del 3 giugno 2014, poneva la questione se il danno risarcibile, nell'impossibilità di procedere alla ricostruzione del patrimonio sociale per assoluta mancanza delle scritture contabili, potesse essere liquidato nella misura differenziale tra l'attivo e il passivo fallimentare; in altri termini se il detrimento patrimoniale così determinato dovesse essere accollato quale conseguenza diretta ed immediata delle violazioni commesse dall'amministratore colpevole senza operare alcun accertamento sul nesso causale tra le singole condotte illecite accertate e il differenziale negativo poi accertato in sede fallimentare.


L'ordinanza in questione quindi (fermi i principi di cui all'art. 2392, 1223 e 2697 c.c. secondo i quali chi agisce ha l'onere di fornire la prova del danno e del nesso di causalità materiale tra il danno stesso e la condotta illecita dell'amministratore nei doveri del suo ufficio) si interrogava sulla legittimità (o meno) di porre a carico dell'amministratore l'intero dissesto patrimoniale (accertato in sede endo-concorsuale) in presenza di una irregolare tenuta delle scritture contabili, circostanza quest'ultima idonea a fondare ex se (con applicazione dell'articolo 2729 c.c.) la causazione dell'intero deficit in mancanza di prova contraria (così come affermato nella sentenza della Corte di Appello impugnata).

L'ordinanza dava atto di due orientamenti giurisprudenziali sul punto:

a) da un lato (con le sentenze nn. 1281/77, 6493/85, 5876/11 e 7606/11) la totale mancanza di contabilità è automaticamente idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale, giustificando una inversione dell'onere della prova del nesso causale a carico dell'amministratore;

b) dall'altro (con le sentenze nn. 9252/97, 10488/98, 1375/001) lo sbilancio tra l'attivo e il passivo può essere imputato all'amministratore inadempiente in base ad un giudizio presuntivo solo ove detti comportamenti illegittimi abbia causato il dissesto della società o siano conseguenza immediata e diretta delle violazioni, non potendo utilizzare detto criterio automaticamente per la quantificazione ex se del danno stesso (salvo utilizzare il criterio nei limiti imposti dall'art. 1226 c.c.2).

Alla luce del non uniforme panorama giurisprudenziale sul punto, la Prima Sezione della Corte di Cassazione rimetteva la questione al Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Ebbene. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Presidente Dott. Rovelli, Est.  Dott. Rordorf) con sentenza n. 9100 del 6 maggio 2015 ha statuito quanto segue:
Nell’azione di responsabilità promossa dal curatore a norma dell’art. 146, comma secondo, legge fallim., la mancata (o irregolare) tenuta delle scritture contabili, pur se addebitabile all’amministratore convenuto, non giustifica che il danno risarcibile sia determinato e liquidato nella misura corrispondente alla differenza tra il passivo accertato e l’attivo liquidato in sede fallimentare, che integra solo un parametro per una liquidazione equitativa, ove ne sussistano le condizioni, sempre che il ricorso a tale criterio sia, in ragione delle circostanze del caso concreto, logicamente plausibile e, comunque, che l’attore abbia indicato le ragioni che gli hanno impedito l’accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell’amministratore.(n.d.r. enfasi aggiunta).
In particolare la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza della Corte di Appello dettando il seguente principio:
Nell'azione di responsabilità promossa dal curatore del fallimento di una società di capitali nei confronti dell'amministratore della stessa l'individuazione e la liquidazione del danno risarcibile dev'essere operata avendo riguardo agli specifici inadempimenti dell'amministratore, che l'attore ha l'onere di allegare, onde possa essere verificata l'esistenza di un rapporto di causalità tra tali inadempimenti ed il danno di cui si pretende il risarcimento.
Nelle predette azioni la mancanza di scritture contabili della società, pur se addebitabile all'amministratore convenuto, di per sé sola non giustifica che il danno da risarcire sia individuato e liquidato in misura corrispondente alla differenza tra il passivo e l'attivo accertati in ambito fallimentare, potendo tale criterio essere utilizzato soltanto al fine della liquidazione equitativa del danno, ove ricorrano le condizioni perché si proceda ad una liquidazione siffatta, purché siano indicate le ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta dell'amministratore e purché il ricorso a detto criterio si presenti logicamente plausibile in rapporto alle circostanze del caso concreto." (ndr enfasi aggiunta).
La sentenza in commento, dopo aver richiamato i propri precedenti a Sezioni Unite n. 13533 del 2001 e n.15781 del 2005, si è interrogata su quali inadempimenti si potesse fondare una pretesa risarcitoria corrispondente al deficit fallimentare.

La Corte giunge alla seguente (condivisibile) considerazione: il mancato rinvenimento delle scritture contabili non può assurgere a causa dell'insolvenza né allo sbilanciamento patrimoniale poiché “... la contabilità registra gli accadimenti economici che interessano l'attività dell'impresa, non li determina; ed è da quegli accadimenti che deriva il deficit patrimoniale, non certo dalla loro (mancata o scorretta) registrazione in contabilità.”.

Inoltre – aggiunge la Corte - la circostanza della mancanza della contabilità non vale ad integrare il nesso eziologico tra la condotta e il danno, non potendo quindi procedersi all'inversione dell'onere della prova a carico dell'amministratore sulla causazione dell'intero sbilancio patrimoniale; diversamente – si legge nella motivazione – si introdurrebbe un meccanismo sanzionatorio attualmente non codificato nella fattispecie in esame .


La Corte infine non esclude l'applicabilità dell'art. 1226 c.c.: 
Lo stesso curatore potrà invocare a proprio vantaggio la disposizione dell’art. 1226 c.c. e perciò chiedere al giudice di provvedere alla liquidazione del danno in via equitativa. Né può escludersi che, proprio avvalendosi di tale facoltà di liquidazione equitativa, il giudice tenga conto in tutto o in parte dello sbilancio patrimoniale della società, quale registrato nell’ambito della procedura concorsuale. Ma, come condivisibilmente già osservato da Cass. 2538/05 e 3032/05, citt., per evitare che ciò si traduca nell’applicazione di un criterio affatto arbitrario, sarà pur sempre necessario indicare le ragioni che non hanno permesso l’accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli concretamente riconducibili alla condotta del convenuto, nonché la plausibilità logica del ricorso a detto criterio, facendo riferimento alle circostanze del caso concreto.
L'autorevole sentenza, finalmente, detta una chiaro principio che sarà “pietra di paragone” per la successiva giurisprudenza di merito e legittimità.








1 Il secondo orientamento citato è stato seguito anche nelle sentenze nn. 16211/07, 17033/08 e 16050/09; tuttavia la Corte di Cassazione nel 2011 con le sentenze nn.5876 e 7606 ha statuito il principio dell'inversione dell'onere della prova nell'ipotesi di assoluta mancanza della scritture contabile, mancanza tale da rendere impossibile al Curatore fallimentare la prova del nesso di causalità.
2 "Lo sbilancio patrimoniale della società insolvente può avere cause molteplici, non tutte riconducibili alla condotta illegittima dell'organo di controllo, sia in quanto questo criterio si pone in contrasto con il principio civilistico che impone di accertare l'esistenza del nesso di causalità tra la condotta illegittima ed il danno; tuttavia, il criterio ancorato alla differenza tra attivo e passivo può costituire un parametro di riferimento per la liquidazione del danno in via equitativa, qualora sia stata accertata l'impossibilità di ricostruire i dati con la analiticità necessaria per individuare le conseguenze dannose riconducibili al comportamento dei sindaci, ma, in tal caso, il giudice del merito deve indicare le ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli riconducibili alla condotta dei sindaci, nonché, nel caso in cui la condotta illegittima non sia temporalmente vicina alla apertura della procedura concorsuale, la plausibilità logica del ricorso a detto criterio, facendo riferimento alle circostanze del caso concreto" (Cass. Civ., sez. I, 08 febbraio 2005, n. 2538).