La riforma del diritto societario del 2003 – come
è noto - ha riscritto sia l’art. 2381 c.c. (che detta agli
amministratori il dovere di agire in modo informato) sia l'art. 2392
c.c. (che impone agli amministratori di attivarsi per impedirne il
compimento o eliminarne o attenuarne le conseguenze dannose, avuta
conoscenza di fatti pregiudizievoli).
Lo scopo della riforma mirava a tentare di chiarire
i differenti ruoli degli amministratori delegati e di quelli
deleganti (i c.d. amministratori privi di delega).
La ratio della riforma, a mio modesto parere,
non ha raggiunto lo scopo che si prefiggeva laddove non ha reso
chiaro il contenuto del dovere di vigilanza; anzi la nuova
formulazione delle norme ha generato - nella giurisprudenza di merito
e di legittimità - orientamenti assai ondivaghi.
Tale incertezza è resa ancora più acuta da
differenti interpretazioni della norma sul fronte penale o civile,
aspetto - quest'ultimo - oggetto del presente abstract.
Sotto il profilo penale la Cassazione Civile, Sez.
V, - con sentenza n. 42519/2012 - aveva dato atto che la riforma del
2003 non attribuisce ai deleganti un autonomo potere di indagine e,
solo ove gli stessi vengano concretamente a conoscenza di
elementi e circostanze che possano far prevedere un evento
pregiudizievole per la società, rispondono penalmente della propria
volontaria condotta omissiva.
Nell'ambito civile, invece, la condotta che prevede
in capo agli amministratori l'obbligo di attivarsi è ancora più
stringente.
Gli amministratori non esecutivi non solo hanno il compito di
monitorare l’adeguatezza dell’assetto organizzativo,
amministrativo e contabile della società e ciò in base alle
informazioni fornite dagli amministratori delegati ma anche il potere/dovere "di indagine"
ex art. 2381, comma 6, c.c.
Tale potere/dovere non è autonomo ma “derivativo”
in quanto il consigliere delegante ha il dovere di attivarsi in
presenza di "sintomi" o "segnali di allarme".
Ove vi siano tali elementi, la condotta omissiva
(o carente) nel percepire (e impedirne) condotte illecite, integra l'elemento soggettivo di colpa
dell’illecito civile.
Infatti la Suprema Corte
con sentenza del 5 febbraio 2013, n. 2737 e sopratutto con la
recente sentenza 9 novembre 2015, n. 22848 (per citare due precedenti
autorevoli) stabiliscono che la colpa sussiste anche nell'inadeguata
conoscenza del fatto altrui o nella mancata attivazione di
comportamenti volti ad evitare l'evento, circostanze che elidono
l'essere "immuni da colpa" (cfr. art. 2392, 3 comma, c.c.).
Pertanto i deleganti incorrono in condotte colpose
laddove non abbiano rilevato segnali della gestione illecita dei
delegati percepibili con il metro di diligenza della carica ricoperta
ovvero - in presenza di alert - non si siano
attivati al fine di evitare l'evento.
In altri termini, la conoscibilità - secondo la
giurisprudenza maggioritaria – non può ridursi ai soli elementi
informativi resi dai deleganti ex art. 2381 c.c. ma in presenza di
alert inequivocabili (i c.d. "segnali di pericolo"
o "indici rivelatori") del fatto illecito i deleganti
debbono richiedere - come detto - ulteriori informazioni.
In conclusione, l'attività dei deleganti a mente
degli artt. 2381 e 2392 c.c. non può ridursi ad una mera condotta
passiva sulla scorta del vecchio dovere di vigilare sul “generale
andamento della gestione" ma deve sostanziarsi in un controllo
attivo (anche autonomo e d'impulso).
Tale stringente attività – purtroppo – si
scontra con il concetto assai lasco di conoscibilità sicché nei
contenziosi giudiziali i deleganti spesso devono fornire una prova
che miri a recidere il nesso casuale tra la propria condotta e
l'evento illecito poi verificatosi.
Tale prova è tutt'altro che agevole (anzi talvolta
è diabolica) poiché - in presenza di un evento ormai verificatosi –
la prova della mancata conoscibilità spesso non si sostanzia in
condotte attive così che il “terreno di scontro” è una
valutazione mai univoca (e rimessa al mero apprezzamento del giudice)
dei campanelli d'allarme; a mente dell'art. 2729 c.c. il
giudice può fare ricorso a presunzioni semplici in presenza di
presunzioni gravi, precise e concordanti.
Il rischio è che il postulato “non poteva non
conoscere” assurga a piena prova della condotta omissiva colposa
dei deleganti.