13 aprile 2016

Fallibilità della società «In House Providing»

Come è noto la questione della fallibilità della società In House (i criteri per la qualificazione delle società “In House providing” sono stati individuati per lo più in via giurisprudenziale; Cfr. Cass. Civ., SS.UU., sent. n. 26283/13, Consiglio di Stato, n. 1447/11, Corte dei Conti, n. 546/13) è stata spesso dibattuta in giurisprudenza (sopratutto di merito) in ragione dell'anomalia del fenomeno di tali società nel panorama del diritto societario.

Sulla scorta della sentenza n.26283/2013 delle SU della Suprema Corte – molti Tribunali e Corti di Appello hanno negato la fallibilità delle società In House.



La giurisprudenza che nega la fallibilità muove dalla considerazione che gli organi gestori risultano preposti ad una struttura corrispondente ad un’articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione e, quindi legati ad essa da un vero e proprio rapporto di servizio così che le società debbono considerarsi articolazione di enti pubblici e a loro va estesa l’esenzione dal fallimento prevista in generale dalla legge fallimentare.

Secondo un primo orientamento, l'esenzione opera non già perché enti pubblici, ma perché non riconducibili alla categoria dell'imprenditore commerciale oppure – secondo altra interpretazione - perché la società In House - integralmente partecipata dagli enti pubblici (non fallibili) – costituisce mero patrimonio separato dell'ente pubblico e non distinto soggetto giuridico, centro decisionale autonomo e distinto dal socio pubblico titolare della partecipazione, che esercita sullo stesso un potere di governo del tutto corrispondente a quello esercitato sui propri organi interni.

Mi constano tali precedenti: Corte Appello L'Aquila, 03.03.2015, Corte Appello Torino, 15.02.2010, Trib. Napoli, 06.05.2015, Trib. Teramo, 20.10.2014, Trib. Nola, ord. 30.1.2014, Trib. Napoli, decreto 09.01.2014, Trib. Verona, decreto 19.12.2013, Trib. La Spezia, 20.3.2013, Trib. Palermo, 08.01.2013, Trib. Catania, decreto 26.3.2010, Trib. S.M.C.V., decreto 9.1.2009.

Altra giurisprudenza di merito – invece - ha accolto la tesi della fallibilità in quanto la citata sentenza n.26283/2013 ha affermato la giurisdizione della Corte dei Conti in merito all’azione di responsabilità erariale nei confronti degli amministratori delle società In House (che hanno causato danni patrimoniali) ma non si è pronunciata sul tema della fallibilità tout court di tali società.
La Suprema Corte con altra sentenza (nella specie n. 22209/2013) ha affermato che: “In tema di società partecipate dagli enti locali, la scelta del legislatore di consentire l'esercizio di determinate attività a società di capitali, e dunque di perseguire l'interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico, comporta che queste assumano i rischi connessi alla loro insolvenza, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto ed attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all'interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità.”.

Pertanto – sulla scorta della pronuncia della Cassazione n.22209/2013 – le società partecipate dagli enti locali che perseguono un interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico soggiacciono ai rischi connessi della loro possibile insolvenza.

Inoltre il D.L. n. 95/2012, convertito in L. 135/2012, ha dettato, in materia di società a partecipazione pubblica, una norma di generale rinvio alla disciplina codicistica delle società di capitali, precisando che le disposizioni di cui all’art. 4, comma 13, e le altre disposizioni, anche di carattere speciale, in materia di società a totale o parziale partecipazione pubblica si interpretano nel senso che, per quanto non diversamente stabilito e salvo deroghe espresse, si applica la disciplina dettata dal codice civile in materia di società di capitali.

In tal senso, la giurisprudenza di merito favorevole alla fallibilità: Corte App. Napoli, 27.05.2013, Corte App. Napoli, 24.04.2013, Trib. Reggio Emilia, 18.12.2014, Trib. Palermo, 13.10.2014, Trib. Pescara, decreto 14.1.2014, Trib. Modena, decreto 10.1.2014, Trib. Nocera Inferiore, 21.11.2013, Trib. Velletri, 08.03.2010, Trib. Palermo, 11.02.2010 e Corte App. Napoli, 15.07.2009

Ebbene. La Corte d’Appello di Napoli – con la sentenza n. 214 del 27 ottobre 2015 conferma la tesi della fallibilità

Con pregevole e articolata motivazione, la Corte di Appello di Napoli accoglie la tesi della fallibilità poiché ritiene che la sentenza 26283/2013 non sia sistematicamente incompatibile con l’applicazione delle norme fallimentari nei confronti delle società In House in quanto le condotte dei soggetti possono essere lesive del patrimonio pubblico e – contemporaneamente - pregiudizievoli per i creditori sociali ai sensi degli artt. 2394 e 2395 c.c.

Inoltre, anche tenuto conto della notevole frammentarietà della disciplina normativa in materia di società In House, la Corte chiarisce come nel sistema del codice civile e della legge fallimentare la fallibilità (a differenza dell’assoggettabilità alla liquidazione coatta amministrativa) sia la regola per tutte le società e come le esenzioni dalla fallibilità siano appunto costruite come eccezioni, come tali da interpretarsi sulla base dei noti parametri di cui all’art. 14 delle preleggi.

In assenza di una diversa qualificazione legislativa, deve ritenersi valido il principio generale della assoggettabilità alle procedure concorsuali delle imprese che abbiano assunto la forma societaria iscrivendosi nell'apposito registro e quindi volontariamente assoggettandosi alla disciplina privatistica (cfr. Cass. Civ., Sez. I, n. 21991/12; Cass. Civ., Sez. I, n. 8694/01) e ciò indipendentemente dall’effettivo esercizio di una siffatta attività.
Infatti dette società “... acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento della loro costituzione e non, invece, dal concreto inizio dell'attività d’impresa, giacche è lo stesso statuto a compiere, in un momento anteriore all'effettivo inizio dell'attività, 1’identificazione, tra i molteplici fini potenzialmente raggiungibili dal soggetto, del fine connesso alla dimensione imprenditoriale.”.

Inoltre la Corte – ed è qui la novità - da conto che tale interpretazione risulta confermata dalle nuove norme introdotte dalla Legge Delega di riorganizzazione della Pubblica Amministrazione (Legge 124/2015, articoli 16-19).

Si legge in motivazione: “Ebbene, nelle more dell’esercizio di tale delega (prima facie finalizzata, come emerge dai relativi lavori preparatori, a pervenire all’individuazione di un nuovo perimetro dell’area del “pubblico”, anche tenuto conto della rivisitazione in termini sempre più normativi della stessa nozione di personalità giuridica di cui anche 1’arresto delle Sezioni Unite di cui al punto seguente sembra aver risentito), proprio gli artt. 16-19 della L. n. 124/15 costituiscono conferma sia dell’inesistenza allo stato di indici normativi che consentano di riqualificare le società In House come enti pubblici ...”.
Non resta che attendere l'attuazione della Legge Delega sul punto e le pronunce sul punto.