13 febbraio 2019

Codice della Crisi d'Impresa – art. 2486 c.c. (seconda parte)

Sul quantum debeatur e sull'onere della prova
Su detti temi si rinvengono moltissime di pronunce di merito e qualche sentenza della Suprema Corte.
In estrema sintesi, dottrina e giurisprudenza sono giunti ad elaborare, sia pure con sfumature diverse, il c.d. «criterio dei netti patrimoniali» e cioè l'aggravamento della perdita netta che consiste nell'erosione del patrimonio netto che la prosecuzione dell'attività caratteristica ha prodotto (non meramente conservativa del valore e dell'integrità del patrimonio ex art. 2486 c.c.).
Sovente tale azione venie promossa una volta dichiarato il fallimento della società e, nell'impossibilità di ricostruire analiticamente il nesso causale tra condotta ed evento (dovuta all'incompletezza dei dati contabili e/o alla notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento), si è ricorsi al criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali, facendolo coincidere con il c.d. deficit fallimentare, consistente nella differenza fra attivo e passivo del fallimento (cfr. ex multis Tribunale Milano, 18 gennaio 2011 in Giur. comm. 2012, 2, II, 391; Tribunale Milano, 29 ottobre 2015, in Riv. Dott. Commercialisti 2016, 1, 121).
E' palese che la mancanza (o irregolare tenuta) della contabilità, di fatto, impedisce una esatta ricostruzione degli affari e delle operazioni sociali, non potendo distinguere quelle ascrivibili a malagestio degli amministratori dalle altre (eventualmente inquadrabili in un'ottica conservativa del patrimonio o comunque in una prospettiva di salvaguardia del valore della società).
Tuttavia, la quantificazione del danno nel deficit fallimentare – a ben vedere – è comunque approssimativa ed inesatta ed oggetto di numerose critiche (anche da parte degli ermellinati).
Infatti qualora il curatore fallimentare di una società di capitali eserciti l'azione di responsabilità verso l'ex amministratore imputato di malagestio “... il mancato rinvenimento della contabilità d'impresa non determina in modo automatico che l'ex amministratore risponda della differenza tra l'attivo e il passivo accertati in sede fallimentare, potendo il giudice di merito applicare il criterio differenziale soltanto in funzione equitativa, attraverso l'indicazione delle ragioni che non hanno permesso di accertare gli specifici effetti pregiudizievoli della condotta e che rendono plausibile ascrivere al convenuto l'intero sbilancio patrimoniale ...” (cfr. Trib. Torino, 12 febbraio 2018, n.712; cfr. Cass. Civ., sez. I, 4 luglio 2012, n.11155).
In un'altra sentenza la Suprema Corte ha affermato che: “... il criterio ancorato alla differenza tra attivo e passivo può costituire un parametro di riferimento per la liquidazione del danno in via equitativa, qualora sia stata accertata l'impossibilità di ricostruire i dati con la analiticità necessaria per individuare le conseguenze dannose riconducibili […] ma, in tal caso, il giudice del merito deve indicare le ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli […] nonché, nel caso in cui la condotta illegittima non sia temporalmente vicina alla apertura della procedura concorsuale, la plausibilità logica del ricorso a detto criterio, facendo riferimento alle circostanze del caso concreto ...” (Cass. Civ, 8 febbraio 2005, n.2538; cfr. anche Cass. Civ, 15 febbraio 2005, n.3032).
E ancora, recentemente, ai fini della liquidazione del danno derivante da una gestione della società condotta in spregio dell'obbligo di cui all'art. 2486 c.c., “... il giudice può ricorrere in via equitativa, nel caso di impossibilità di una ricostruzione analitica dovuta all'incompletezza dei dati contabili ovvero alla notevole anteriorità della perdita del capitale sociale rispetto alla dichiarazione di fallimento, al criterio presuntivo della differenza dei netti patrimoniali. La condizione è che tale ricorso sia congruente con le circostanze del caso concreto e che quindi sia stato dall'attore allegato un inadempimento dell'amministratore almeno astrattamente idoneo a porsi come causa del danno lamentato e siano state specificate le ragioni impeditive di un rigoroso distinto accertamento degli effetti dannosi concretamente riconducibili alla condotta.” (Cass. Civ., sez. I, 20 aprile 2017, n.9983 in Giur. Comm., 2018, 2, II, 236).
Diversamente l'attore che voglia far valere la responsabilità degli amministratori ha l'onere di specificare i singoli atti gestori concretamente adottati dagli amministratori in violazione del dovere imposto dall'art. 2486 c.c e di provare il danno derivato da tali comportamenti (cfr. Trib. Milano, 18 gennaio 2011, Fall., 2011, 496; Trib. Lecce, 3 novembre 2009, in Dir. Fall., 2010, 429).
A breve, la terza (e ultima parte) del commento.


© copyright, all rights reserved