A distanza di pochi giorni la Suprema Corte si è pronuncia su importanti questioni in tema di legge applicabile e di giurisdizione di società cancellate dal Registro delle Imprese italiano.
Con la prima, la sezione seconda della Corte di Cassazione, con l'ordinanza interlocutoria dell'11 aprile 2022, n.11600, ha chiesto alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea di pronunciarsi sulla seguente questione:
«se gli articoli 49 e 54 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea ostino a che uno Stato membro, in cui è stata originariamente costituita una società, applichi alla stessa le disposizioni di diritto nazionale relative al funzionamento e alla gestione della società qualora la società stessa, trasferita la sede e ricostituitasi secondo il diritto dello Stato membro di destinazione mantenga il centro della sua attività nello Stato membro di partenza e l'atto di gestione in questione incida in modo determinante sull'attività della società.»
Si tratta, pertanto, di stabilire se la libertà di stabilimento comporti l'assoggettamento della società al diritto dello Stato di destinazione non solo per quanto riguarda la sua costituzione, ma anche in relazione alla sua gestione non solo interna ma anche esterna.
La seconda, verte sulla carenza di giurisdizione del giudice italiano in tema di fallibilità di una società che ha trasferito la sede sociale all'estero e si è cancellata dal registro delle imprese italiano e, sopratutto, sul potere del giudice del rinvio di discostarsi dalla statuizione della Suprema Corte che affermi la giurisdizione italiana, a seguito del regolamento di giurisdizione.
Si tratta della sentenza della Cassazione Civile, a Sezioni Unite, del 4 aprile 2022, n.10860 la quale si è pronunciata sulla sentenza della Corte d'Appello di Bari la quale, a seguito del rinvio ex art 382 c.p.c., ha disapplicato l'ordinanza regolatrice delle Sezioni Unite.
La Corte d'Appello aveva, infatti, rimesso alla Corte di Giustizia UE la questione pregiudiziale sull'esatta interpretazione dell'art. 3 § 1 Reg. CE n.1346/2000, dichiarando il proprio difetto di giurisdizione e revocando il fallimento della società.
La Suprema Corte, investita della questione, ha dapprima richiamato il consolidato principio secondo il quale se il centro degli interessi principali resta in Italia, sussiste la giurisdizione nazionale.
Inoltre la Corte ha statuito che, a seguito di regolamento di giurisdizione (affermativa), ove il giudice del rinvio neghi nuovamente la giurisdizione nazionale, si ha una conclamata violazione dell'art.382 c.p.c. in quanto lo stesso non può rinnovare il giudizio fattuale (che resta precluso) sul centro effettivo di direzione e controllo (o il luogo di gestione degli interessi della società) ma esso è comunque libero di sollevare la questione pregiudiziale ex art. 267 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea.
Le Sezioni Unite, con la sentenza in commento, hanno quindi stabilito l'importante principio di diritto secondo il quale:
«a seguito di statuizione sulla giurisdizione da parte della Suprema Corte adita in sede di regolamento, il giudice nazionale non di ultima istanza avanti al quale il processo prosegua, è ammesso a sollevare la questione pregiudiziale ex art. 267 TFUE avanti alla Corte di Giustizia qualora dubiti della conformità di questa statuizione al diritto UE».
In tal caso, la vincolatività della statuizione interna sulla giurisdizione viene meno soltanto all'esito della decisione della Corte di Giustizia dalla quale si evinca l'effettiva contrarietà di questa statuizione al diritto UE, e nei limiti della contrarietà così emergente.
© Avv. Luca Campana | SLC – Studio Legale Campana