29 ottobre 2014

Società in accomandita semplice - fallimento del socio accomandante

Il socio accomandante di una S.a.s. può fallire personalmente ? L'argomento merita un approfondimento.

L'articolo 147 L.F. estende il fallimento di una società in nome collettivo, in accomandita semplice o in accomandita per azioni anche ai soci illimitatamente responsabili.



La norma stabilisce quanto segue:

Art. 147 (Società con soci a responsabilità illimitata)

La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche, illimitatamente responsabili.

Il fallimento dei soci di cui al comma primo non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata anche in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati. La dichiarazione di fallimento è possibile solo se l'insolvenza della società attenga, in tutto o in parte, a debiti esistenti alla data della cessazione della responsabilità illimitata. [omissis]”.

La categoria del socio illimitatamente responsabile si riviene dalle norme del codice civile e, nel caso di società in accomandita semplice, i soci accomandatari sono – come è noto – illimitatamente responsabili ex art. 2313 c.c.

Tuttavia, ai fini della presente trattazione, anche i soci accomandanti possono fallire personalmente ove divengano illimitatamente responsabili a mente dell'art. 2320 c.c.
Conviene quindi riportare i commi 1 e 2 dell'articolo in parola.

Art. 2320 c.c.

I soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione , né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Il socio accomandante che contravviene a tale divieto assume responsabilità illimitata e solidale verso i terzi per tutte le obbligazioni sociali e può essere escluso a norma dell'art. 2286.

I soci accomandanti possono tuttavia prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori e, se l'atto costitutivo lo consente, dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni e compiere atti di ispezione e di sorveglianza
. [omissis]” (n.d.r. enfasi aggiunta).

La ratio della norma è stata oggetto di approfondimento dottrinale e, per ragioni di sintesi, essa può essere riconducibile (i) al principio di tutela dell'interesse sociale ad una gestione attenta dei soggetti illimitatamente responsabili ovvero (ii) al principio di garantire il profilo tipologico dello schema societario e non snaturare i lineamenti essenziali propri della SAS (cfr. G. Moreschini, Il divieto di immistione e la qualificazione degli atti gestori in Giur. Comm., fasc.4, 2011, pag. 863).

L'estensione è prevista, quindi, non solo in capo ai soci accomandatari illimitatamente responsabili per contratto sociale ma anche in capo ai soci accomandanti che, pur non essendo tenuti per contratto sociale a rispondere illimitatamente, abbiano assunto responsabilità illimitata e solidale verso i terzi in tutte le obbligazioni sociali mediante comportamenti contrari al disposto dell'art. 2320 c.c.


Pertanto, ove il socio accomandante sia decaduto dalla limitazione di responsabilità di cui al citato articolo 2320 c.c., risulta applicabile la disciplina di cui all'articolo 147 L.F. e il fallimento della società in accomandita semplice va esteso anche all'accomandante che – appunto - si sia ingerito nell'amministrazione della società.

Tale divieto di ingerenza che incombe sul socio accomandante di società in accomandita semplice è stato spesso oggetto di numerose pronunce giurisprudenziali sia di merito sia di legittimità posto che il concetto di “atto di amministrazione” in senso lato si presta a diverse interpretazioni e trova applicazione in molteplici fattispecie (cfr. Cass. Civ., 1 giugno 2012, n. 8863; Cass. Civ., 3 giugno 2010, n.13468; Cass. Civ., 28 aprile 2004, n. 8093; Cass. Civ., 7 novembre 1998, n. 11227; in dottrina, ex multis, di Ronco, l'appropriazione di fondi sociali costituisce atto gestorio ?, in Dir. fall., 2011, I, 10; Fasolino, Quali margini per la partecipazione degli accomandanti alla gestione della società, in Soc., 2000, 1442).

In estrema sintesi si potrebbe mutuare un concetto espresso da una attenta pronuncia della Suprema Corte (con la sentenza n. 13468 del 2010) che statuisce che “... per aversi ingerenza dell'accomandante nell'amministrazione della società in accomandita semplice [...] non è sufficiente il compimento, da parte dell'accomandante, di atti riguardanti il momento esecutivo dei rapporti obbligatori della società, ma è necessario che l'accomandante svolga un'attività gestoria che si concreti nella direzione degli affari sociali, implicante una scelta che è propria del titolare della impresa ...”.

Sul tema, recentemente, la Suprema Corte (con sentenza n. 15600 del 9 luglio 2014) ha nuovamente confermato detto principio “... secondo il quale al fine di qualificare il carattere gestorio di un atto, occorre che lo stesso abbia carattere non meramente esecutivo ma decisionale ed autonomamente orientato.”.

L'ultima locuzione evidenziata è particolarmente rilevante poiché, oltre al carattere intrinsecamente gestorio, la norma vieta altresì gli atti (anche non inquadrabili come puri atti di amministrazione) posti in essere dal socio accomandante in quanto contrari - per prohibìtio espressa - (o difformi rispetto) alla volontà degli amministratori ovvero ultronei/esorbitanti rispetto alla procura speciale rilasciata.

In questo senso l'atto decisionale posto in essere autonomamente dal socio accomandante senza la direzione degli amministratori ovvero non previsto o autorizzato dagli amministratori stessi assume una valenza gestoria.

Merita un cenno il termine utile per dichiarare il fallimento in estensione del socio accomandante che sia decaduta dalla limitata responsabilità.

Secondo la Suprema Corte (con sentenza del 7 dicembre 2012, n.22246) “... la responsabilità illimitata del socio accomandante ingeritosi nell'amministrazione della società non è collegata a vicende personali o societarie suscettibili di pubblicizzazione nelle forme prescritte dalla legge, ma deriva dal dato meramente fattuale di tale ingerenza e non è destinata a venir meno per effetto della sola cessazione di quest'ultima, prescindendo la suddetta equiparazione da qualsiasi distinzione tra debiti sorti in epoca anteriore o successiva alla descritta ingerenza, ovvero dipendenti o meno da essa.
[...]
Pertanto, l'estensione è soggetta al termine di decadenza previsto dalla norma e cioè entro l'anno dalla iscrizione nel registro delle imprese di una vicenda personale (ad esempio il recesso) o societaria (ad esempio la trasformazione della società), che abbia comportato il venir meno della sua responsabilità illimitata, escludendosi – invece - la possibilità di ancorare la decorrenza di detto termine alla mera cessazione dell'ingerenza nell'amministrazione non solo perché la stessa non da luogo ad atti suscettibili d'iscrizione nel registro delle imprese, ma anche perché, come si è detto, essa non esclude la responsabilità illimitata per i debiti successivamente contratti dalla società.”.