25 gennaio 2012

Esdebitazione - Corte di Cassazione a Sezioni Unite

La Corte di Cassazione interviene a Sezioni  Unite (con sentenza del 18 novembre 2011 n. 24215) su un ricorso presentato avverso al decreto della Corte di Appello di Firenze che ha riformato il precedente decreto (emesso dal Tribunale di primo grado) sull'inesigibilità dei crediti ex art. 143 L.F. in una procedura concorsuale ove i creditori chirografari erano rimasti totalmente insoddisfatti.

La Corte di Appello (oltre a questioni di rito) aveva accolto il reclamo affermando che la concessione del beneficio dell'esdebitazione ex artt. 142 e ss. della legge fallimentare ha quale presupposto oggettivo (2° comma della norma) il soddisfacimento parziale di tutti i creditori concorsuali  (circostanza che non si era verificata nel caso di specie).

Conviene riportare il testo della norma.


L'articolo 142, 2° comma, L.F. afferma che "L'esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali".

La tesi accolta dalla Corte di Appello era nel senso che il dato letterale avrebbe fatto riferimento ai creditori concorsuali senza alcuna aggettivazione così interpretando la norma nel senso che la parzialità (la locuzione "neppure in parte") si riferisca al non integrale soddisfacimento di ciascuno dei creditori concorsuali esistenti.

Tale tesi - secondo la Corte di Appello - trovava indiretta conferma nell'art. 143 L.F. ove si fa riferimento ai "debiti concorsuali non soddisfatti integralmente" e nell'art. 144 L.F. che prevede, per i creditori concorsuali non insinuati, l'esdebitazione "... per la sola eccedenza alla percentuale attribuita nel concorso ai creditori di pari grado".

La Suprema Corte - con il terzo motivo - esamina la questione che consiste (in sintesi) nello stabilire "... se il dettato normativo debba essere inteso nel senso che tutti [n.d.r. grassetto aggiunto] i creditori siano soddisfatti almeno parzialmente oppure nel senso che sia necessario che almeno una parte [n.d.r. grassetto aggiunto] dei creditori sia stata soddisfatta...".

La Corte - dato atto che la norma presenta margini di equivocità e che il dato letterale può essere interpretato nella duplice ricostruzione sopra esposta  - ha proceduto secondo una interpretazione logico-sistematica individuando la ratio della norma introdotta dal legislatore.

Ebbene. La Corte ha interpretato la norma nella sua seconda ricostruzione e cioè che sia sufficiente (oggettivamente) la soddisfazione di almeno una parte dei creditori.

Tale scelta - si legge nella motivazione - è dettata dal favor concesso all'attività imprenditoriale così che la ratio della norma deve essere ricostruita in tale ottica che consiste:

a) "... nel favorire la tempestiva apertura di procedure concorsuali ed indurre comunque il debitore fallito a non porre in essere condotte dilatorie ed ostruzionistiche.".

b) nella cancellazione dei debiti pregressi che consente all'imprenditore di ripartire da zero (c.d. "fresh start") e di re-iniziare "... la sua attività senza avere pendenze di sorta, di poter espandere pienamente le proprie potenzialità, senza dover subire limitazioni alle proprie iniziative, per effetto dei debiti precedenti" (c.d. "discharge") .

L'accoglimento della tesi restrittiva determinerebbe - si legge nella motivazione - immotivati e irragionevoli effetti, introducendo un'illegittima (poiché del tutto casuale) distinzione tra fallimenti con creditori privilegiati di modesta consistenza e gli altri fallimenti.

La Corte ritiene che il punto di equilibrio nella ricostruzione del dettato normativo (stante l'incertezza del dato letterale) debba essere inteso nel senso di privilegiare l'interpretazione più compatibile con il dettato costituzionale.

La Corte, inoltre, afferma (n.d.r. con ragioni ineccepibili) che l'adozione della tesi restrittiva (e cioé la soddisfazione almeno parziale di tutti i creditori) porterebbe a dover necessariamente soddisfare  integralmente tutti i creditori muniti di privilegio generale ed i creditori  speciali (nei limiti dei beni gravati), dovendo rispettare le cause di prelazione imposte dalla legge.

Tale effetto abnorme consentirebbe l'esdebitazione solo in presenza di una situazione patrimoniale che avrebbe accesso ad altre procedure endo-concorsuali (ad es. in concordato preventivo) determinando, in concreto, una marginalità dell'applicazione dell'istituto e vanificando l'intento del legislatore (e - aggiungo - gli effetti di cui al punto "a" sopra citato).

La Corte conclude che maggior peso deve essere concentrato sul "dato comportamentale" del debitore fallito e sui requisti di cui al primo comma dell'art. 142  L.F. così che la puntuale e corretta applicazione della norma (rimessa al prudente apprezzamento dei tribunali di merito) può consentire di raggiungere "l'auspicato punto di equilibrio tra le contrastanti esigenze" sopra esposte.