Nelle
società c.d. bi-personali (cioè le società di persone i cui soci sono
due ed abbiano partecipazione paritetica) è usuale il verificarsi
dell’ipotesi patologica del “dissidio insanabile”.
Tale fattispecie è stata dibattuta e risolta sia in
dottrina sia in giurisprudenza variamente, talora utilizzando l’istituto
dello scioglimento, talaltra quello del recesso ovvero dell’esclusione
del socio dalla società.
Vengono a mente l’articolo 2272, n2., l’articolo 2285, comma 2 e l’articolo 2286 c.c.
Nella fattispecie in cui vi siano due soci paritetici e sorga un dissidio insanabile nella
vita sociale, la giurisprudenza di merito e di legittimità hanno
incluso tale ipotesi nella fattispecie disciplinata al n.2 dell’art.
2272 c.c. e cioè la sopravvenuta impossibilità di conseguire l’oggetto
sociale tale da rappresentare un ostacolo insormontabile al
funzionamento della società.
Tuttavia la dottrina e la giurisprudenza hanno
enucleato le caratteristiche tipiche del dissidio insanabile al di fuori
del quale non si determina lo scioglimento della società sussistendo
certamente un favor verso la conservazione del contratto sociale e dell’impresa.
Ebbene. Non basta un semplice dissidio tra i soci ma detto contrasto deve essere insanabile, deve cioè rivestire i caratteri della assolutezza e definitività (ovvero una situazione di oggettiva irreversibilità che non è impossibile superare) e deve, soprattutto, riflettersi sulla vita della società tale da rendere impossibile il conseguimento dell’oggetto sociale (o quanto meno decisioni di tale importanza che si riverberano sull’oggetto sociale).
Ciò – si badi – può avvenire per una volontà del
tutto legittima e contraria dei due soci in un conflitto non
addebitabile a nessuno dei due ma – nel caso in cui (ipotesi più
frequente) vi siano doglianze che un socio imputa all’altro – la
dottrina e la giurisprudenza, nel corso degli anni, hanno elaborato il
postulato che l’irreversibilità può essere superata (o sanata)
mediante il recesso del socio adempiente o l’esclusione del socio
inadempiente ai propri obblighi contrattuali, sociali di fedeltà
incidenti sulla natura del rapporto (cfr. per tutte Cassazione Civile, sez. I, 10 settembre 2004, n. 18243).
In sintesi l’effetto dello scioglimento quale
soluzione estrema per risolvere il dissidio insanabile, passa in secondo
piano (anche processualmente) ove lo stesso dissidio possa essere risolto mediante l’esclusione del socio inadempiente a cui è addebitabile la causa del dissidio (cfr. Cassazione Civile, 15 luglio 1996, n.4610) ovvero – con un parziale renvirement della Corte di Cassazione con la citata sentenza del 2004 – mediante il recesso del socio incolpevole.
Il socio incolpevole, infatti, reagisce all’altrui
inadempimento che lede il rapporto fiduciario posto alla base delle
società di persone e la giusta causa del recesso, infatti, non è
rappresentata dal dissidio in sé ma proprio dalla violazione da parte
dell’altro socio dei doveri di fedeltà, diligenza, lealtà e correttezza
reciproca, inerenti alla natura fiduciaria del rapporto sottostante.
In concreto non è certo agevole stilare un elenco
delle cause addebitabili che creano il dissidio insanabile e ove
sussista, per converso, la giusta causa del recesso; tale accertamento è
demandato alla valutazione del giudice di merito (sottratto al
sindacato di legittimità, se motivato congruamente ed immune da vizi
logici e giuridici).
Ovviamente non basta un semplice dissidio (ancorché
fondato e imputabile all’altro socio) ma detto dissidio deve
riverberasi, come già detto, sulla vita sociale determinando (appunto)
l’impossibilità dell’oggetto sociale (cfr. Tribunale Monza, 3 febbraio
2005 e – da ultimo – Tribunale Milano, sez. imprese, 10 giugno 2013).
Nessuna limitazione all’esercizio del recesso è
dunque prevista per l’ipotesi in cui la società di persone sia composta
da due soli soci, sicché, anche in tale caso, deve ritenersi che, ove
sussista una giusta causa, ovviamente imputabile all’altro socio, quello
non inadempiente possa recedere.
La conclusione è che la disciplina del recesso per
giusta causa trova applicazione nella sua interezza anche nelle società
di persone composte da due soli soci, non essendo positivamente prevista
alcuna limitazione in tal senso anche quando, il dissidio (imputabile)
si traduca nella impossibilità di conseguire l’oggetto sociale,
integrando astrattamente, ai sensi dell’art. 2272, n. 2, cod. civ.,
un’ipotesi di scioglimento della società.